Ma Pasolini non voleva essere profeta: il suo era un grido di battaglia che bisognava raccogliere per fronteggiare il declino anziché trattarlo come un visionario jettatore.
Marco Tullio Giordana
Quanto attuale rimarrà Pasolini anche dopo questo centenario? Cosa di lui sarà ancora vivo e cosa ingiallito? Marco Tullio Giordana e Luigi Lo Cascio cercano una risposta a questa domanda. Una cernita nell’ immenso opus pasoliniano che non ha certo l’ambizione di dire tutto né fornire il quadro nemmeno abbozzato, ma di scegliere quanto per loro c’è di indispensabile, al punto da riassumerlo nel vocativo con cui lo chiamavano i ragazzi: «a Pa’», per invitarlo a tirare due calci di pallone o chiedergli di fare una comparsata in un film.
Tra i Maestri che il secolo scorso ha conosciuto, Pasolini emerge non tanto per la continua vigilanza sui temi del giorno, quanto per la passione e l’imprevedibilità nel trattarli. Più che la desolata rappresentazione dell’Italia che non c’è più, ciò che nella visione di Giordana e Lo Cascio colpisce oggi è quanto fosse per lui necessario consumarsi e mettersi a repentaglio, addirittura “fisicamente”, per poterla decifrare e descrivere. Qualcosa che non riguarda solo l’intelligenza pura, ma il corpo. La carne, il sangue. Lo spettacolo cerca di dar conto proprio di questa sua disperata attualità.