Recita dell’attore Vecchiatto nel Teatro di Rio Saliceto

In scena due vecchi attori Attilio e Carlotta Vecchiatto: sperduti in un teatro di campagna non si piegano all’idea di essere divemati null’altro che una scarpa buttata in un angolo e dimenticata. Il vecchio si crede degno di rispetto perché ha lavorato turta una vita, ma come Re Lear deve andare in pensione. In nome di una gloriosa vecchiaia fiera e umiliata, Attilio e Carlotta lottano contro l’ignoranza e la vol garittà dilagante. Bisogna impazzire, e al piiù presto, per stare in questo mondo, dirà Vecchiatto. Proprio come Amleto. Un verso di Shakespeare ci salverà contro la notte dell’anima? L’anziano attore pare esserne convinto: se ora la sua arte è diventata ridicola, tutto allora è ridicolo. Ma ciò che nello spettacolo interessa raccontare è la straordinaria storia dei suoi protagonisti ed insieme la straordinaria storia dei loro interpreti, tanto lontani dai primi quanto legati a essi da un curioso filo rosso. E non si tratta di fare l’elogio dei tempi che furono, mitici spesso solo nel ricordo di chi li ha vissuti. Se la morte del teatro, infatti, è la desolata litania che ci accompagna in un clima autopunitivo da funerale perenne, ben vengano allora i nostri due amici Attilio e Carlolta che arrivano da un altro mondo e ce lo partecipano non senza ironia. Noi viviamo l’inattualità del teatro e la nostra inadeguatezza; loro parlano di una passione vissuta come un apostolato nel nome di Shakespeare, parlano di sé e della “malaltia mentale” del teatro in un delirante gioco al rimando, riprendono l’una le frasi dell’altro come se fossero una persona sola. Irriducibili nel loro coraggio, passione e follia, le figure dei coniugi Vecchiatto si incarnano in due irriducibili “vieux enfants terribles” della scena italiana come Mario Scaccia e Marisa Belli. In entrambi le riconosciute doti artistiche si uniscono a rare qualità umane che rendono possibile – come in questo caso – un incontro proficuo fra generazioni diverse.
La visionarietà dei codici dei due interpreti trova dunque nel testo di Celati una felice occasione di modernità espressiva: un duetto che tocca le corde del tragico e deI comico insieme senza indulgere mai nel patetismo.