Edipo
Cinquecento anni fa, a Vicenza, un gruppo di uomini e di donne si sono riuniti al Teatro Olimpico e seguendo un vecchio rito si sono raccontati ancora una volta loa storia di Edipo che avevano ereditato da un antico testo scritto duemila anni prima. Che cos’ era accaduto nel corso di questo viaggio da Epìdauro a Vicenza? Che cos’ era cambiato in due millenni? Senza dubbio il cambiamento più evidente è quello delle misure, della proporzione. Siamo passati dall’ “aria aperta”, cioè dall’essere soggetti ol capriccio e ai dettami della Natura, al chiuso con una natura ricreata dall’uomo. Tutti i personaggi della tragedia, così immensi e allo stesso tempo così lontani in fond alla grande distanza dell’anfiteatro greco, si sono avvicinati. La maschera è scomparsa e, come in uno specchio, ci è apparso il volto umano. L’uomo si è avvicinato molto di più all’uomo, ha osato guardarlo in faccia e rispecchiarsi in esso. L’essere umano impareggiabile nel cammino della conoscenza, nonostante le cadute e gli errori, ha già perso una delle sue numerose paure ataviche che si è trascinato dal Medio Evo: la scienza gli darà fiducia e lo libererà da una pellicola di religiosità superstiziosa, lo porterà a trovare nell’osservazione dell’anima dell’ “altro” lo conoscenza di se stesso. Shakespeare, con la sua immensa poesia drammatica, è l’esempio più paradigmatico di questa nuova visione. Palladio, con un gesto poetico della medesima grandezza ha fatto lo stesso nell’architettura: ci da la misura “umana” dell’uomo e ci dice da dove dobbiamo guardarlo, cioè da dove dobbiamo contemplare noi stessi.
Perché questi primi occupanti del Teatro Olimpico scelsero Edipo? Edipo Re è soprattutto l’uomo in “misura umana” di fronte a se stesso. L’idea di Europa si stava formando su uno sfondo intessuto di guerre imperiali, nazionalismi irrazionali, scontri sanguinolenti e scismi religiosi che giustificavano le azioni più violente.
Edipo a Colono vagherà errante per questi paesaggi cercando un rifugio e una terra più sicura. Mi emoziono a pensare che quei primi spettatori cercarono nella poesia di Sofocle le parole per esprimere le loro proprie inquietudini e per lenire i loro timori. E sebbene mi scoraggi vedere che cinquecento anni dopo questo paesaggio sia così poco cambiato, mi emoziona che l’uomo prosegua nel suo impegno per la conoscenza e che abbia conservato questa eredità poetica – in questo caso doppia: quella della parola e quella della casa che l’alberga – per procurarsi un nuovo punto di vista che l’aiuti, una volta ancora, ad affrontare e a vincere le sue paure.
Lluìs Pasqual